Non ricordo il momento preciso in cui ho fatto questa riflessione, forse durante gli anni della specializzazione, quando con altri giovani colleghi si fantasticava sui possibili pazienti che avremmo incontrato e possibilmente “curato”. Si, in quel periodo devo aver iniziato a pensare che poteva succedere, che persone con disturbi psichici avrebbero potuto occupare posizioni di potere e quindi nascondersi dietro un importante ruolo sociale. Quanti professori universitari, manager d’azienda persino leader di governo “coprivano” persone dal precario equilibrio psichico.
Uomini e donne con “problemi mentali” potevano arrivare a ricoprire ruoli di rilievo e avere la possibilità di influire sulle vite e sul destino di altri uomini e donne, orientando le scelte di alcuni e indirizzando i comportamenti di molti, fino a definire un’intera collettività.
Lo psicologo polacco Andrew Lobaczewski ha passato l’infanzia durante l’invasione nazista e in seguito ha vissuto le brutalità dell’occupazione sovietica; l’esperienza di quei terribili eventi lo hanno spinto a sviluppare il concetto di “patocrazia”: quando individui psicopatici occupano posizioni di potere.
Lobaczewski ha passato tutta la vita a studiare la “malvagità umana al potere”, campo di ricerca che ha in seguito chiamato “ponerologia”: lo scopo dei suoi studi è stato capire perché persone “malvagie” riescono ad affermarsi, a diventare popolari mentre persone “buone” e oneste faticano ad arrivare al successo. In particolare, lo psicologo voleva comprendere come mai individui con disturbi mentali (affetti da psicopatia/narcisismo) riescono a collocarsi più facilmente nella parte più alta della società, fino a governare interi paesi.
Vivere in un paese patocratico non ha assolutamente facilitato i suoi studi ma al contrario l’autore è stato arrestato e torturato dalle autorità polacche e la sua opera principale “Ponerologia Politica” non è stata pubblicata fino agli anni ’80, quando lo studioso non è emigrato negli USA.
In effetti, se ci pensiamo bene, è capitato a tutti noi di conoscere e interagire con persone brillanti, carismatiche e ricche di savoir faire ma, al contatto, sentirle piuttosto disinteressate alle nostre emozioni. Gli psicopatici non sono solo i serial killer, gli assassini, ma sono anzi persone ben inserite nel tessuto sociale, in grado di nascondere con grande efficacia la mancanza di coscienza e di morale. Spesso sono individui capaci di manipolare e controllare il prossimo per raggiungere i propri scopi, assolutamente incuranti dell’altro che diventa vittima e nei confronti della quale non provano né rimorso né senso di colpa.
Ogni azione è frutto di un ragionamento preciso in funzione di interessi personali, siano essi economici, sessuali o di potere e, malgrado questo tipo di persone comprenda perfettamente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, la scelta non comporta alcuna partecipazione emotiva, alcuna empatia.
“Lo psicopatico è colui che è capace di compiere gesti anche terribili senza che il suo sentimento registri il minimo sussulto emotivo. Il cuore non è in sintonia con il pensiero e il pensiero con il gesto”
(U. Galimberti, L’ospite inquietante)
La psicopatia non è inclusa nel Dsm-5, il manuale internazionale di riferimento degli psichiatri e degli psicoterapeuti e, una certa scuola di pensiero, vorrebbe infatti farla coincidere con il Disturbo Antisociale di Personalità. Questo tipo di patologia però non include i “corporate psychopaths”, ossia gli psicopatici di successo, quelle persone che non compiono azioni criminali ma che, cresciute in ambienti favorevoli, hanno potuto sviluppare una eccellente competenza sociale riuscendo a perseguire i propri fini manipolativi e distruttivi, senza dare l’impressione di essere psicologicamente disturbati.
Le persone con questo tipo di funzionamento psichico sentono un bisogno fortissimo di potere, desiderano costantemente attenzioni e conferme e si ritengono superiori agli altri pensando di avere il diritto di dominarli abusandone senza scrupoli. L’altra parte del mondo è fatta invece, di persone empatiche e compassionevoli, per niente interessate al potere ma a sviluppare relazioni, a creare connessioni interpersonali e, proprio per questo, spesso rifuggono dall’assumere posizioni di rilievo, creando spazi accessibili a chi, spesso senza morale, ha un elevato livello di ambizioni e grandi aspirazioni.
Se nella società feudale i diritti erano ereditati alla nascita e l’ascesa al potere degli individui patologici era piuttosto limitata, la realizzazione di uno stato democratico e maggiormente equo ha fornito maggiori possibilità ai corporate psychopaths di arrivare al successo sociale.
Gli psicopatici affermati odiano i principi democratici, si considerano superiori, migliori e maggiormente meritevoli e cercano il dominio sugli altri che considerano inferiori e deboli.
Ma come è possibile che individui insensibili e senza scrupoli possano attrarre altre persone fino a costruire società patrocratiche? Senza necessariamente arrivare a considerarli psichicamente disturbati, alcuni individui sono solo ambiziosi, desiderosi di essere adulati e ricevere attenzioni, bisognosi di ottenere posizioni d’influenza che cercano di ottenere cavalcando i leader patocratici.
Ma lo stesso fenomeno può essere spiegato anche dal punto di vista psicologico, partendo dalle relazioni affettive primarie: come i bambini considerano i genitori sicuri e forti, pronti a risolvere ogni loro problema così questi leader sono visti come padri onnipotenti, infallibili pronti ad assumersi ogni responsabilità. Al tempo stesso, i leader patocratici sono paranoici e questo li porta a demonizzare gli altri gruppi e a creare un senso d’identità comunitaria intorno ad uno scopo comune che potremmo definire “tossico”.
Tutto ciò detto, come facciamo di fronte all’assetto del mondo politico contemporaneo, davanti alle scelte economiche e sociali dei Paesi più potenti del pianeta, a non tener conto delle ricerche di Lobaczewski sul concreto pericolo dello stabilirsi di comunità “patocratiche”. Credo sia opinione di molti, oggi molto più di ieri, la necessità di monitorare, valutare e stimare, anche attraverso strumenti psicologici, chi occupa i vertici delle più importanti collettività sociali, occidentali e asiatiche. Risulta fondamentale comprendere il funzionamento psicologico, cognitivo ed emotivo, di chi, occupando posizioni di rilievo, prende decisioni, stabilisce politiche e definisce assetti: economici, sociali e ambientali.